Era da tanto che volevo scrivere un articolo su L’Aquila, la città del 99:
99 castelli, 99 piazze, 99 fontanelle, 99 chiese, 99 cannelle e 99 rintocchi della campana del Duomo.
Di come avevo la fortuna di vederla un paio di volte prima del terremoto del 2009 e di come poi l’avevo trovata successivamente.
E così, nella difficoltà di trovare le parole per descrivere una città che, martoriata, devastata, non si arrende, si rialza e torna a splendere, mi è capitato di vedere in mostra un lavoro di un caro amico, Filippo Caramelli, che attraverso le sue foto e il suo modo di vedere mi porta in viaggio con la mente.
L’ho trovato talmente bello che non potevo tenerlo solamente per me.
Il titolo del portfolio, Terremoto Italia, ci fa capire il non richiamo diretto alla città, che diventa un non luogo, un qualsiasi posto in Italia.
È una sorta di denuncia, un monito, un avvertimento che tutto ciò che è racchiuso nelle immagini possa capitare ovunque.
È la descrizione di una città cantiere che è impegnata in una lenta rinascita, che porta fiera le sue cicatrici.
L’assenza della figura umana sottolinea proprio la staticità, il lento movimento, il silenzio in contrapposizione alla dinamicità che ci si aspetterebbe da una ricostruzione.
La prima foto rappresenta una porta, è simbolicamente l’entrata ad un viaggio mentale che, partendo dell’esterno, piano piano ci guida verso l’anima di un paese: le sue case.
Il silenzio delle cose abbandonate è assordante, il grido muto del “tornerò” vibra in ogni immagine di interni, per poi affievolirsi nel lento dirigersi verso la l’ultima foto che segna l’uscita dal viaggio.
La scelta stilistica del bianco e nero rappresenta le cose che furono, sono e saranno. Ovatta ulteriormente ogni suono, ogni grido, ogni lamento.
Insomma potrei parlavi per ore, descrivendovi in ogni minimo dettaglio la complessità di ciò che è raccontato, ma forse… è meglio che le foto parlino da sé.
Tutti i diritti sulle immagini sono di Filippo Caramelli seguitelo su Instagram e Facebook.